E’ una violenza meditata, un impatto ragionato, un’aggressività incanalata con acume quella dei Chaos Conspiracy. Non è il vulcano che erutta ma la lava che si solidifica dopo l’esplosione: d’altronde un nome del genere – una meticolosa scienza del disordine – non fa che riflettere un’ organizzazione tipica del post-hardcore. Il quartetto beneventano è spiazzante: ci si aspetta una paurosa botta alla Rage Against The Machine e i ragazzi vanno altrove, studiando il modo di essere taglienti e secchi, possenti e rocciosi facendo anche del buon funk inserendo sprazzi di elettronica e trip hop, accenni new wave. Il gruppo ha scrutato dentro di sé e ha osservato fuori, così nasce la rabbia, l’indignazione, l’esigenza del cambiamento.Una girandola di sfuriate e raptus ritmici che all’improvviso si tramutano in uno smarrimento ai confini della psichedelica visionaria, le chitarre abbattono i loro muri per sfilacciarsi, fino ad infiltrarsi in costruzioni spigolose vicino a certo math-rock.
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